Da una bolla pontificia di Lucio III del 1181 sappiamo dell’esistenza a quest’epoca a Corlo una chiesa parrocchiale dedicata a San Martino vescovo. La chiesa, demolita all’inizio del XIX secolo, sorgeva lungo la via Corletto, antico cardine romano della centuriazione.
Un importante cambiamento avvenne nella religiosità locale tra XVII e XIX secolo: verso la fine del Cinquecento un contadino trovò nei campi un frammento di affresco raffigurante una Madonna con Bambino e la comunità l’appese ad un albero, come si usava con le immagini sacre in zona rurale. Essendosi verificate delle guarigioni miracolose, si sviluppò un culto mariano attorno all’immagine che venne custodita in una piccolissima cappella in muratura. Nella seconda metà del XVIII secolo venne costruito un oratorio più grande per custodire l’immagine. Nel 1799 il sacerdote don Sante Montorsi decise di fare ingrandire e trasformare tale oratorio in una nuova chiesa parrocchiale, dato che l’antica chiesa parrocchiale di San Martino minacciava rovina. Il progetto fu elaborato dall’architetto neoclassico modenese Giuseppe Maria Soli che adottò forme neo-cinquecentesche ed una pianta pseudo-centrale ispirata alla basilica della Ghiara di Reggio Emilia, mentre la vecchia chiesa fu adibita a cimitero, secondo le nuove idee igieniche del riformismo illuminato a cui evidentemenete il prevosto Montorsi era vicino. La nuova chiesa parrocchiale conservò San Martino come patrono ma funse anche da santuario della Madonna della Neve. Nel secolo seguente al posto dei ruderi della vecchia chiesa, abbattuta, sorse l’attuale cimitero in stile neoclassico, in seguito ingrandito e modificato
La chiesa parrocchiale di Corlo, costruita nel 1802 da don Sante Montorsi
Don Montorsi nell’ex voto alla Madonna della Neve (1818), Corlo, Chiesa parrocchiale
La distanza fra le idee apprese negli studi e la vita pastorale di allora misero in crisi don Sante
Montorsi Grazie alla pazienza del vescovo Tiburzio Cortese poté superarla e avviare un lungo e
operoso ministero, al quale si deve anche la costruzione della chiesa parrocchiale nel 1802
Il giansenismo non è un argomento da domenica pomeriggio, per usare un eufemismo. Tuttavia, la
scorsa domenica la sala parrocchiale «Teatro Incontro» a Corlo era piena di pubblico – non
necessariamente aduso a disquisizioni teologiche postprandiali per la presentazione del
volume Don Sante Montorsi (1761-1842), un parroco giansenista a Corlo (Il Fiorino, 2022) di
Stefano Baroni, vicepresidente dell’Associazione di storia locale «Ezechiello Zanni» di Formigine,
con prefazione di don Fabrizio Rinaldi. Baroni, medico di professione e storico per passione – con
laurea in storia medievale presso l’Ateneo bolognese – ha brillantemente ricostruito le vicende
umane e sacerdotali di un parroco di campagna del Settecento che si trovò coinvolto nella crisi
giansenista tra gli ultimi anni dell’Antico regime e l’avvento del nuovo ordine sorto dalla
Rivoluzione francese.
Don Sante Montorsi, nato nel 1761 a Montorso di Pavullo, era «nipote d’arte », per così dire,
essendo stato destinato fin da fanciullo alla vita ecclesiastica e, a tal fine, affidato alle cure dello
zio, don Domenico Montorsi, parroco di Corlo, dal quale apprese la carità concreta ed operosa
verso i poveri del paese. In quel tempo, il Seminario modenese era un piccolo edificio inglobato
nel complesso canonicale contiguo al Duomo – non ancora isolato da via Lanfranco – ed era
normale che solo una minoranza di seminaristi vi alloggiasse: gli altri abitavano a pigione in città o
presso i parroci. A Modena, don Sante si trasferì per gli studi universitari alla Facoltà di Teologia.
Laureato nel 1783, fu ordinato sacerdote il 21 maggio 1785 nella Cattedrale di Reggio. Nei
successivi due anni fu a perfezionarsi a Pavia, centro di diffusione del giansenismo, rappresentato
in particolare dall’abate Pietro Tamburini (1737-1827), dal quale il Montorsi fu raccomandato al
primo ministro ducale Munarini in vista di una conveniente sistemazione in patria.
Rientrato a Corlo nel 1787, l’anno seguente, dopo la morte dello zio don Domenico, venne
nominato parroco a sua volta, subentrandogli in un ministero pastorale che sarebbe durato mezzo
secolo. Qui, per il giovane parroco, iniziarono le incomprensioni e le difficoltà con i suoi
parrocchiani e con i confratelli sacerdoti delle parrocchie limitrofe: infatti, il giovane don Montorsi
iniziò a contrastare forme di devozione popolare che riteneva superstiziose oltre che a predicare
una morale rigorosa ai fedeli, negando anche più volte l’assoluzione sacramentale. Tutte cose che
gli valsero la fama di giansenista. Il giansenismo, dottrina condannata dalla Chiesa da ultimo con
la bolla Unigenitus (1713), si era diffuso dalla Francia all’Italia ed aveva fatto presa in particolare
sui sacerdoti e sui fedeli più istruiti in particolare per la forma apparentemente più coerente ed
esigente di cristianesimo che proponeva, che sfociarono in Italia nel controverso Sinodo di Pistoia
(1786). Non a caso, il libro mostra anche le ripetute crisi di coscienza di don Montorsi, che
più volte scrive al vescovo Tiburzio Cortese esprimendo la volontà di rinunciare al mandato
pastorale.
Proprio alla pazienza di monsignor Cortese si dovette la permanenza di don Sante Montorsi a
Corlo, dove, superata la sua personale «crisi giansenista», rimase parroco fino al 1837,
spendendosi per la cura delle anime e per l’amministrazione materiale della parrocchia e
costruendo tra l’altro l’attuale chiesa parrocchiale, il Santuario della Madonna della Neve, dove fu
sepolto quando nel 1842 si spense, dopo una vita lunga e operosa.
Paradossalmente, il «prevosto giansenista » che aveva suscitato scalpore tra i parrocchiani per la
rimozione della statua della Madonna del Rosario, è oggi ricordato da due ritratti costituiti da
altrettanti ex voto alla Madonna della Neve, uno del 1818, l’altro degli anni ‘30 dell’Ottocento,
conservati in chiesa parrocchiale.
Fonte Nostro Tempo (F. GHERARDI)